Life is many days… but I’m living hopeful Noi che crediamo ancora nell'amore profondo E che ci preoccupiamo per le sorti del mondo Che gli vogliamo bene a questo sasso rotondo Perduto nello spazio con le stelle lì in fondo (…) Noi che guardiamo sempre il mondo a testa in giù E che non ci crediamo a chi non crede più (…) Noi che vogliamo vivere il momento presente E che ci piace stare sempre in mezzo alla gente Noi che sappiamo bene che volere è potere Ma che non ci interessa di chi vuole il potere Fuori dal mondo, Brunori Sas È la sera del ventisei maggio, siamo ancora nel pieno di un’emergenza sanitaria che non ci fa respirare, fuori fa freddo-ma-non-troppo, forse è l’umidità. Dentro, nel buio del soggiorno, ci sono io, arrabbiata (con chi?), di fronte alla tv. Su Rai Storia c’è Walter Tobagi, odiato senza ragione, un documentario di Alessandro Chiappetta, girato da Agostino Pozzi e firmato da Martina Cervino. A quarant’anni dall’omicidio del giornalista milanese, la televisione gli rende omaggio con un prodotto conciso, elegante, diretto – un’opera filmica che rispecchia i caratteri di un uomo buono, restituendolo al Paese che tanto ha amato nella sua genuina grandezza. Intervengono nei 57’ di riprese Antonio Ferrari e Giancarlo Perego, colleghi del giornalista scomparso, e la figlia, Benedetta, storica e scrittrice, che ha dedicato alla memoria del suo papà un libro uscito per Einaudi nel 2009, Come mi batte forte il tuo cuore. Viene ricostruito un panorama storico drammatico, denso di paure, una cruda realtà a cui molti figli degli anni Settanta hanno dovuto adattarsi. Una successione di violenze, abusi e omicidi politici, un mondo confuso, spesso ingiusto, in cui trovare un senso agli avvenimenti era difficile e spesso doloroso. In fondo la storia è così, e Benedetta Tobagi, che la ama da sempre, lo sa: abbonda di esempi che incitano a nutrire profonda sfiducia nella natura umana. In questo mondo magmatico cresce e si forma, Walter Tobagi, un uomo giusto, cavaliere delle parole, un giornalista, padre e uomo esemplare, e Benedetta sa raccontarcelo benissimo, nonostante non abbia ricordi di lui: è morto troppo presto, scrive, e io sono cresciuta assediata dall’immagine pubblica di Walter Tobagi. Nel suo libro affronta il dolore, in un lungo cammino infestato di rovi alla scoperta del tanto amato papà, lontano ma vicino nei ricordi e nel cuore. La morte non si può dimenticare, ma la gente che ne sa? Benedetta cresce esposta ad una visibilità che non tollera, destreggiandosi fra espressioni che detesta (‘Il povero Walter’) verità da spiegarsi (che poi, insomma, ma come si spiega davvero a una bambina che papà è morto, l’hanno ucciso, non c’è più? Ci sono cose che i bambini non dovrebbero preoccuparsi di capire) e una storia a cui avvicinarsi, con coraggio e delicatezza – una storia da riscoprire e da riscrivere, un’eredità ingombrante e importante che non può tenere solo per sé. È per questo che Come mi batte forte il tuo cuore è un regalo – un regalo prezioso, intimo, toccante ma mai strappalacrime: Benedetta Tobagi ci fa dono di una narrazione pulita, lineare, semplice, priva di fronzoli, che attraversa e ricostruisce una vita – e non una morte, insomma, una vita, in tutta la sua meraviglia, in tutto il suo inestimabile valore. Legge gli articoli scritti da suo padre, i suoi diari, i suoi libri, intrufolandosi nella sua quotidianità in silenzio, ed improvvisamente sembra sia sempre rimasta la Bebi, eterna bambina che gioca nel suo studio, fra le carte e il disordine di un’esistenza scandita dai ritmi del lavoro. Si avvicina e si allontana a Walter, papà, un passo avanti e due indietro, senza sapere da dove cominciare – è un viaggio complesso, e lei deve stare attenta a non farsi troppo male, come le suggerì il nonno Ulderico quando gli annunciò di volersi mettere a studiare seriamente il “caso Tobagi”. (Non è forse sempre questo il rischio di scavare nel passato - farsi male? Il prezzo da pagare per incamminarsi alla ricerca della luce.) Chi era davvero Walter Tobagi? Perché l’hanno ucciso? (...) Il dolore è una sostanza pericolosa, come un esplosivo molto instabile, ma Benedetta vuole sapere, deve sapere, deve trovare un senso, deve illuminare il passato. E inizia a ricostruire. Walter Tobagi è stato ucciso il 28 maggio 1980 sotto casa sua, in via Salaino a Milano: se n’è andato sotto i colpi di P38 sparati da alcuni terroristi rossi del gruppo Brigata XXVIII Marzo mentre si stava recando presso la sede del Corriere della Sera in via Solferino, dove lavorava. Aveva trentatré anni. Oggi, a quell’età, sarebbe considerato un ragazzo. Ma lui era già Walter Tobagi, scrive Postiglione sul Corriere1. Nasce nel ’47 in un paesino della dolce campagna umbra, San Brizio: lui stesso si descriveva popularis nato tra i contadini dell’Umbria: disceso dalla terra, do il giusto valore a molte cose, compreso il denaro.2 A sette anni si trasferisce con i suoi genitori a Milano, dove trascorre il resto della sua vita. Studia al Parini, destreggiandosi fra le difficoltà di crescere intellettualmente in una scuola di classe dove essere popularis non è facile; non dimenticherà mai di essere stato un ragazzo privilegiato: sa benissimo quant’è difficile ricevere una formazione degna di tale nome, e infatti scrive ad un amico Apriamo le scuole a chi merita … Noi siamo stati fortunati. Ma nostri coetanei, a centinaia, sono già finiti nelle officine. Eppure sono molto più intelligenti di certa gente che conosciamo. Dov’è spirito popolare, voglio essere io: contro chi lo sfrutta, sia esso un tecnocrate o un capitalista. Questo è un impegno dovuto alle mie origini. Al Parini muove i suoi primi passi nel mondo del giornalismo scrivendo per La zanzara, giornale scolastico, e a diciott’anni sembra già aver capito tante cose del mondo che lo circonda. L’articolo «Che cosa leggono i pariniani» comparve sul giornale del liceo nel marzo 1965. Un pezzo di bravura, una vera inchiesta, lo scrisse senza paura di criticare, magari irritare, i compagni di scuola, con una sorta di «coraggio dei fatti» che l’avrebbe accompagnato tutta la vita. 3 Walter è un ragazzo deciso che sa porsi interrogativi brillanti: «Se i liceali, che hanno la possibilità, non lo fanno, chi mai si preoccuperà di crearsi una coscienza civica?». A 18 anni parla già di coscienza civica: la sua appare quasi come una storia già scritta. Il giornalismo è la sua passione folle, l’unica, scrive Benedetta: si laurea nel 1950 con una tesi mastodontica, quasi novecento pagine, “I sindacati in Italia nel secondo dopoguerra”; nel 1970 supera l’Esame di Stato. Scrive per il Corriere d’Informazione prima e per il Corriere della Sera poi, fino alla fine dei suoi giorni. Già dai tempi universitari emerge come una parte rilevante dell’interesse giornalistico di Tobagi sia rivolta al mondo del lavoro.4 La curiosità lo spinge dappertutto, ci racconta la figlia, e dovunque cerca di instaurare un dialogo autentico, per superare diffidenze e divisioni. È un ragazzo, Walter, dallo sguardo sempre curioso e libero, che cerca modi sempre nuovi di regalarne un poco anche agli altri. Tobagi insomma è davvero un giornalista a tutto tondo, ama il mestiere sul campo e il gusto dell’inchiesta l’aveva fin dentro il midollo; ha vissuto scrivendo, e usava le parole per fare la sua parte nel mondo, per interrogarsi ed interrogarlo con coraggio, con la dolce fermezza che lo contraddistingueva. Sempre pronto a confrontarsi con le difficoltà quotidiane dei più deboli, degli invisibili, ma capace anche, allo stesso tempo, di interloquire con le sedi più prestigiose ed intellettuali. Cerca costantemente occasioni di incontro, di dialogo fuori dagli schemi usuali: per esempio stimolò i giovani di Lotta Continua ad allargare il proprio orizzonte di contatti per attivarsi sul ‘fronte della trattativa’ nel frangente del Sequestro Moro. Il dialogo con i giovani lo interesserà a lungo: Walter incontra più volte, nel corso della sua brillante carriera, i militanti della sinistra extraparlamentare, animato dal motto spinoziano della sua vita, Humanas actiones non ridere, non lugere, neque detestari, sed intelligere. Nel 1977 incontra Gad Lerner, che oggi lo ricorda come un uomo diverso dagli altri, interessato ai giovani dei gruppi extraparlamentari “non come specie rara, come animali di frontiera da raccontare; lo interessavano le nostre idee e il nostro travaglio, la nostra crisi nei confronti delle ideologie.” E conclude, “attraverso persone come Tobagi abbiamo incontrato il resto del mondo”. Tobagi si impegna con tutte le sue forze per avvicinarsi alle loro realtà per capire chi sono, da dove vengono e cosa vogliono, perché sa che il fenomeno del terrorismo rosso può essere sradicato soltanto indagandone le basi materiali (d’altronde, come diceva Sandro Pertini, il terrorismo si combatte rendendo la società più giusta). Scrive articoli densi, coraggiosi – scrive cose che sente, dice agli amici, perché sa che bisogna andare a parlare con questi ragazzi, bisogna rendersi conto del tipo di condizione che vivono, bisogna riferire quello che pensano. Ma non è facile, Walter lo sa, e aggiunge a questo discorso, pronunciato la sera del 26 marzo 1980, “Ma se si fa questo, ci si ritrova subito bollati o come possibili fiancheggiatori, o come persone ambigue.” E questo non va bene, perché il sistema dell’informazione deve essere libero dal pregiudizio, altrimenti si rischia di non capire realmente la dimensione e lo spessore che i fenomeni sociali hanno assunto e continuano ad avere, e si brancola nel buio. Capire la disperazione, solo così si potevano disinnescare le spinte verso il terrorismo diffuso. Il suo operato intelligente e riformista non è gradito ai gruppi terroristici rossi. Walter Tobagi scava nella loro storia, individuandone debolezze e smascherandone i meccanismi più nascosti, per questo è decisamente scomodo. Le pagine del capitolo 11 di Come mi batte forte il tuo cuore, “Paura”, sono dense di dettagli sui meccanismi del terrorismo che ha macchiato troppe pagine di storia del nostro paese: Benedetta Tobagi ci costringe a guardare in faccia una realtà dolorosa che siamo stati, raccontando di quei gruppetti di ragazze e ragazzi di venti, trent’anni, con amici, un amore, magari dei figli – osservano la vittima, la vedono con la moglie, la fidanzata. (…) Vedono il nemico, sparano, uccidono. Nel 1979 quei gruppetti conoscono troppo bene il nome di Walter Tobagi, e un bigliettino recante informazioni riguardo a un possibile attentato alla sua persona viene trovato in una borsa lasciata da un terrorista in viale Lombardia, a Milano: il giornalista lo viene a sapere e si angoscia, la vita si fa improvvisamente pesante, deve imparare a convivere con la paura. Le intimidazioni alla stampa riprendono forti e chiare tra l’aprile e il maggio del 1979: l’attacco viene rilanciato dalle gabbie del tribunale di Milano durante il processo di Corrado Alunni, figura simbolo del terrorismo, fondatore delle Fcc, Formazioni Comuniste Combattenti. Nella primavera del ’79 viene incendiato un furgoncino dell’Unità e dell’Avanti!, poi sette furgoni del Corriere. Walter nel frattempo è diventato presidente del sindacato lombardo dei giornalisti, sa di essere nel mirino ma non si preoccupa delle minacce: sono “ordinaria amministrazione”. Probabilmente rifiuta la scorta, anche alla luce dei fatti del sequestro Moro. Continua a scrivere di terrorismo, a fare la sua parte, per lui è giusto così. Il 28 marzo 1980 Walter Tobagi è a Genova, inviato del Corriere, per raccontare il caso “Via Fracchia” - il covo scoperto, quattro terroristi uccisi a seguito di un’incursione dei carabinieri della squadra del generale Dalla Chiesa. Il 29 marzo annota che «il mito dell’imprendibile brigatista genovese, che colpisce ma non può essere mai scoperto, comincia a dissolversi» (in Adesso si dissolve il mito della colonna imprendibile). Ma l’articolo più famoso è quello del 20 aprile 1980, “Non sono samurai invincibili”: Tobagi legge la crisi del terrorismo, vede le tensioni interne, indica le falle del sistema. Con il suo stile asciutto, limpido, quindi efficace, sostanzioso, svela i meccanismi dei gruppi terroristici rossi, puntando il dito contro le loro fragilità. «È tanto estesa l’organizzazione brigatista o un gruppo di poche decine riesce a sembrare un piccolo esercito?». «Sono isolati dal grosso della classe operaia». «Si sforzano di dimostrare una forza superiore a quella reale». «L’immagine delle Brigate rosse si è rovesciata, sono emerse le debolezze». E sottolinea che lo Stato deve esserci, deve rispondere, «senza pensare che i brigatisti debbano essere, per forza di cose, samurai invincibili». “Non sono samurai invincibili” è un’intuizione giornalistica che diventa un testamento. La frase di una vita, la frase della morte.5 Parole di morte, ragioni di vita, scrive la figlia nel suo libro. I meriti che rendono mio padre una figura di spicco diventano i capi d’accusa di una condanna a morte, perché nelle logiche terroriste malate sono sempre i più meritevoli, i più capaci, i più progressisti ad essere eliminati: uomini che si impegnano a restituire credibilità alle istituzioni, a restaurare il rapporto fra Stato e individuo. Morti non “malgrado il loro valore, ma per il loro valore”, come scrisse Primo Levi. Ma Walter Tobagi rimane fino alla fine un uomo deciso, determinato, lucido, che crede nel proprio mestiere e nel senso della sua attività professionale. Benedetta condivide coi lettori un documento meraviglioso e delicatissimo, un testamento di vita, un dono di parole: una lettera che il giornalista scrive nel 1978 a sua moglie, in preda ai sensi di colpa per le imperdonabili assenze che lo tengono lontano da lei e dai figli, i michelangiolini, come li chiama, e in preda alla paura dell’uomo Walter, messo a nudo di fronte alle difficoltà della sua missione. Mi sono chiesto: e se dovessi sparire di colpo, che immagine lascerei alle persone che ho più amato e che amo, te e i michelangiolini? Al lavoro di questi mesi va data una ragione, che io sento molto forte: è la ragione di una persona che si sente intellettualmente onesta, libera e indipendente, e cerca di capire perché si è arrivati a questo punto di lacerazione sociale, di disprezzo di valori umani. (…) Penso all’attaccamento di Luca, alle tenerezze della Bebi. Se un giorno non dovessi più esserci, ti prego di spiegargli, di ricordargli il motivo di tante assenze che oggi li fanno soffrire. Mi sentirei ancor più incolpa se oggi non spendessi quei talenti che, bene o male, mi sono stati affidati; e se non li spendessi per contribuire a quella ricerca ideologica che mi pare preliminare per qualsiasi incitamento, miglioramento nei comportamenti collettivi: con la speranza che possa essere meno assurda la società in cui, fra un decennio, i nostri michelangiolini si troveranno a vivere la loro adolescenza. Le parole di Walter Tobagi ci ricordano, oggi, a distanza di quarant’anni, l’importanza di preoccuparci per le sorti del mondo (che gli vogliamo bene a questo sasso rotondo…) e di vivere il nostro tempo tuffandoci nel quotidiano, accettandone difficoltà e contraddizioni. Noi che vogliamo vivere il momento presente / e che ci piace stare sempre in mezzo alla gente, come Walter Tobagi, ucciso perché “caposcuola di una tendenza intelligente”, giornalista “efficiente”, uomo figlio del suo mondo, immerso nella vita e amante della verità. Ripenso a Walter Tobagi giovane impegnato: oggi la sua storia è una lezione di senso civico ed etico per le nuove generazioni, un esempio a cui guardare per crescere consapevoli dell’importanza di far sentire la nostra voce con chiarezza, garbo ed educazione, per fare la nostra parte, per esserci. Penso ai giornalisti che dovrebbero ispirarsi alla sua grande competenza e al suo credo deontologico – Walter Tobagi era un professionista corretto, puntuale, attento, che conosceva il peso delle parole; in una professione in cui tutti urlano, arringano e calcano i toni, mio padre parlava piano, a voce bassa, scrive Benedetta, sembrava sussurrasse, perché sentiva la responsabilità di parlare a centinaia di migliaia di persone ogni giorno. La sua massima, “Poter capire, voler spiegare”, dovrebbe animare oggi e sempre l’operato di quanti sono chiamati a informare con l’intento di fornire al lettore gli strumenti per ragionare e chiavi interpretative per comprendere la realtà. Ecco, io ho iniziato a scrivere questa riflessione con l’intento di fissare nella mente una storia che non voglio dimenticare, che spero di portare nel cuore come modello – per guidare i miei passi e le mie scelte di cittadina e di lavoratrice, un giorno. La storia di Walter Tobagi devono conoscerla tutti, adulti e adolescenti, per orientarsi verso un nuovo modo di vedere il mondo, sorridente, entusiasta e pacato, aperto al dialogo costruttivo – quel dialogo volto ad intelligere, non a ridere, lugere e nec detestari – per capire ed accogliere il mondo, la trottolina impazzita su cui ci troviamo (per dirla con un Pirandello attuale, oggi più che mai) liberi dal pregiudizio e in cammino verso la verità. Grazie a Benedetta Tobagi per aver trasformato una vicenda personale dolorosa in una storia piena di luce e di speranza per il futuro, per aver convertito il buio in testimonianza e impegno civile, per averci donato un libro-ritratto di un uomo straordinario, scritto con amore, dolcezza e profonda genuinità. Grazie per aver bussato a tante porte, per questo atto che vive d’amore, per aver conservato tracce di vita per capire e per raccontare – perché, come scrive Saviano che lei cita, “Raccontare significa resistere e resistere significa preparare le condizioni per un cambiamento”. Mi auguro con tutto il cuore che le sue parole possano continuare a camminare a lungo nelle scuole, soprattutto, e possano ispirare tanti ragazzi che, come me, credono ancora in un futuro più equo, più giusto; giovani adulti, cittadini responsabili che costruiranno, un giorno, un mondo migliore, meno assurdo, come sperava Walter Tobagi. Il suo racconto ci spinge oggi più che mai a resistere al caos per creare un futuro nuovo, sotto la buona stella di tutti gli uomini onesti e brillanti odiati senza ragione che hanno provato a cambiare la realtà. [... noi che non ci crediamo a chi non crede più.] Il volumetto intitolato “Poter capire, voler spiegare” uscito con il corriere il 28 maggio, a cura di Giangiacomo Schiavi, raccoglie alcuni scritti di Tobagi e riflessioni sulla sua persona scritte dalla penna di chi ha avuto l’inestimabile fortuna di conoscerlo. Il corpus dei suoi scritti, dice la figlia, è un patrimonio sempre a disposizione di chi voglia tornare ad attingervi, a partire da nuove domande, interrogandosi insieme a lui sul tempo passato e su quello presente. “La sua memoria è una bussola preziosa per contrastare violenze e disfattisti, dagli anni di piombo alle crisi dei giorni nostri.” Fonti 1. Anni https://www.corriere.it/gli-allegati-di-corriere/20_maggio_25/tobagi-walter-libro-allegato-articoli-quotidiano-anniversario-0296cf78-9eb7-11ea-aa6b-a30e3049a61e.shtml 2. Da Come mi batte forte il tuo cuore, B. Tobagi, Einaudi 2009 3. https://www.corriere.it/gli-allegati-di-corriere/20_maggio_25/tobagi-walter-libro-allegato-articoli-quotidiano-anniversario-0296cf78-9eb7-11ea-aa6b-a30e3049a61e.shtml 4. https://www.corriere.it/gli-allegati-di-corriere/20_maggio_24/grande-curiosita-walter-tobagi-attento-temi-lavoro-cultura-4739bf98-9dd4-11ea-b9b6-8e4b7089692f.shtml 5. https://www.corriere.it/gli-allegati-di-corriere/20_maggio_25/tobagi-walter-libro-allegato-articoli-quotidiano-anniversario-0296cf78-9eb7-11ea-aa6b-a30e3049a61e.shtml “Come mi batte forte il tuo cuore” è edito Einaudi, mentre “Poter capire, voler spiegare” è un allegato del Corriere della Sera, in edicola per un mese dal 28 maggio.
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