E ci hai visto su dal cielo Ci hai trovato e piano sei venuta giù Un passaggio da un gabbiano Ti ha posata su uno scoglio Ed eri tu Fiore Di Maggio, Fabio Concato Ci sono, dunque: un mare, un’isola, un cielo. Due vite. E tutto il futuro da fare.
Almarina è un romanzo molto breve. Valeria Parrella lo pubblica con Einaudi nel 2019, nel 2020 è fra i 12 candidati al Premio Strega. Racconta la storia di Elisabetta Maiorano, insegnante presso il carcere minorile di Nisida, e di Almarina, una sua alunna romena. È una storia, quella di Elisabetta e Almarina, figlia di due storie intrecciate, due destini rotti, pesanti che si incontrano in un orizzonte di luce. Almarina è il fiore di maggio di Elisabetta, e Elisabetta è il fiore di maggio di Almarina. Una entra in punta di piedi nella vita dell’altra, in silenzio, posata su uno scoglio. Lo sfondo è un quadro inusuale e difficile. Siamo a Nisida, che è un’isola e nessuno lo sa, cantava Bennato, un labirinto vicino e lontano a Napoli, il cuore pulsante da cui si stacca-ma-non-troppo, galleggiando al largo della città involontaria, in un invisibile abbraccio che nessuno sa scorgere. Elisabetta ci entra ogni giorno, ripete alle guardie carcerarie il suo nome – sono scontrose, non sorridono, le guardie – e si infila in un mondo nuovo. Abbandona i suoi effetti personali in un armadietto, ci lascia un pezzettino di vita, la solitudine della figlia unica, l’orecchio dolente di una malattia esantematica, l’ombra che mi terrorizzava al pomeriggio, proiettata su una scaletta. Il primo attacco di panico, dopo la maturità, una notte in albergo a Parigi. Entra ed è un’altra donna, a Nisida torna bambina, si spoglia delle sue paure, della sua vita di prima, di quell’universo pesante che lascia alle spalle. Una mattina arriva in classe Almarina. Il padre l’ha stuprata, le ha rotto qualche osso, è arrivata in Italia lungo la tratta dei Balcani, ha un fratello dalla quale l’hanno divisa. Niente di più sappiamo del suo passato, quello che si porta negli occhi, nascosto fra i ricordi più bui e densi. Non è il passato, lei. È il futuro da fare. Un sogno nuovo da inventarsi. Almarina ed Elisabetta sono in sintonia. Durante le ore di lezione la ragazza le sorride, la guarda dritto negli occhi, pende dalle sue labbra, spera che le riveli il senso delle cose che non sa. Elisabetta le regala i suoi libri, impara a volerle bene, le si affeziona, racconta al direttore di sentirsi responsabile della sua vita, perché mi sembra che possa farcela, e non mi va di farle perdere questa occasione. Occasione. Per i ragazzi di Nisida la vita è un gioco di occasioni e opportunità. Per noi vederli andar via è difficile, perché: dove andranno. Sono ancora così piccoli, e torneranno da dove sono venuti, e dove sono venuti è il motivo per cui stanno qui. Oppure sono grandi, e allora andranno in altre carceri che non sono questo. Nelle parole di Valeria Parrella riecheggiano quelle del direttore di Nisida, in una vecchia intervista: «Il dolore più grande è quando scopri che una storia è andata male. Ci impone di rivedere le nostre scelte, sapendo che il nostro lavoro è fallibile.» È una vita strana, quella dei figli di Nisida. E anche quella degli educatori (che sono figli pure loro). È un groviglio di buio che sembra inestricabile da trasformare in un foglio bianco come il bucato steso. Dentro: questo posto è meraviglioso, è tutto quello che i nostri (nostri, dice Valeria Parrella, dice proprio ‘i nostri ragazzi’) ragazzi non hanno mai avuto. Ancora, a Nisida l’aula senza sbarre della scuola è la loro unica possibilità (…) non gli viene negato nulla. Vedono da vicino, per la prima volta, adulti di cui possono fidarsi. E fuori? «C’hai bisogno di un’alternativa, una volta usciti. Esci, che fai? Chi ti prende? Qui ho trovato la guida che mi mancava, l’equipe non mi ha lasciato da solo.» (è un ragazzo vero a parlare, in questo video, racconta le cose così come stanno, la realtà come la vede lui, https://www.youtube.com/watch?v=BpQzYbdMQVc). Ecco, l’equipe, appunto. Le Elisabetta Maiorano, quelle che scovano la luce in mezzo al nulla, trovano una strada nel deserto, sanno salvare regalando libri e addizioni e sottrazioni. Quelle che non posseggono verità, non hanno soluzioni – solo sogni da regalare, pastelli colorati per disegnare nuove speranze. Il massimo che possiamo fare, di queste camere stagne in cui viviamo, è socchiuderne un poco le porte, tenerle accostate per sentire l’altro. E confermarci che è diverso. E chiudere gli occhi, tirare fuori il coraggio, ricostruire quello che resta di vite ingombranti, andate in frantumi. Anche la vita di Elisabetta, fuori da Nisida, è andata in frantumi. Ha perso suo marito Antonio, dopo aver costruito una casa, un presente – dopo aver sognato mille destini, insieme. Almarina la restituisce al mondo, donandole un motivo per essere (felice, serena, leggera – per essere, e basta). E vanno via insieme a rincorrere la vita. Almarina è questo e molto altro. Un elogio dell’educazione e dei Maestri, quelli che trascinano via dall’abisso, che amano «la bellezza della stortura», come scrive Recalcati in L’ora di lezione, e barcamenandosi fra mille difficoltà onorano il proprio mestiere giorno dopo giorno. «Credo che una buona scuola pubblica sia fondante per la società, e in questo ovviamente la scuola carceraria è una delle possibilità che abbiamo in questo paese scellerato», racconta l’autrice, intervistata da Minima et Moralia (http://www.minimaetmoralia.it/wp/stregati-almarina-valeria-parrella/). Ma è anche una storia di speranza, un gioiello di letteratura civile, capace di confrontarsi con la difficile realtà dei carceri minorili, e di rappresentarla con parole speciali, leggere, taglienti, che aggraziate danzano disegnando un racconto; uno stile ricco ma mai stancante, mai barocco – mai una parola superflua, solo delicatezza e grande cura. Valeria Parrella è laureata in lettere classiche e l’immaginario greco lo vede ovunque. E racconta, «Il problema che si pone Elisabetta Maiorano nei confronti di Almarina è quello di Antigone, che contiene il tema della legge sovrana, nomos basileus, a confronto con la legge del cuore (…) » Ma l’amore non riconosce l’autorità in Almarina, e dentro le ossa, quando ci guardiamo le rughe allo specchio, o nella verità del sonno, non c’è teoria, ma solo dolcezza. «Io mi sono legata ad Almarina così, mentre guardavamo il mare.» Anch’io, come dice Valeria Parrella, i racconti me li porto dentro per sempre. (https://www.illibraio.it/news/narrativa/valeria-parrella-racconti-226712/) Elisabetta e Almarina sono state il mio fiore di maggio, una lettura dolcissima in un buio periodo di lockdown. Una bella sorpresa, un fiume di parole colorate che merita di essere letto. [… e in bocca al lupo per lo Strega!]
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