[Grazie a Cortina Editore per avermi dato la possibilità di leggere questo libro] Ivano Dionigi è uno che sa il fatto suo, e non lo scopriamo di certo oggi oggi. A novembre scorso, in occasione di una conferenza nella mia scuola, ha presentato «Quando la vita ti viene a trovare», uno splendido dialogo fra Lucrezio e Seneca, in occasione di un convegno organizzato per celebrare il filosofo stoico «alle radici della cultura europea». Da novembre ad oggi la vita è decisamente venuta a trovarci più volte, e ci siamo trovati costretti a fronteggiare un’emergenza per la quale non eravamo preparati. Speranzosi, ci siamo detti che ne saremmo usciti migliori, fra un «ricorso al patriottismo d’occasione» e la santificazione di medici che «domani saranno nella polvere» (p. 108, «Un uomo, tutti gli uomini»). Nel contesto quasi apocalittico che siamo costretti a vivere, «solo il pronome noi può salvarci»: Dionigi ci propone 84 pensieri, elzeviri, spunti di riflessione agili, nitidi «nello stile e nel dettato» come scrive Ravasi nell’introduzione, ma assolutamente essenziali. Così si presenta «Parole che allungano la vita», pubblicato con l’editore Cortina quattro giorni fa: un manuale piccolo, snello, che pone grandi domande e sa far riflettere portandoci su strade giustamente impervie. In un viaggio leggero e senza tempo fra passato e presente («tra antichi e moderni, tra il fuori e il dentro di noi» ha detto l’autore a Letture.org), il latinista affronta temi «capitali» come le migrazioni, la scuola, la parola, la vita, incastrati in un excursus eterno in cui ieri ed oggi si abbracciano pur non confondendosi mai. Dionigi infatti ce lo ricorda spesso: «tenere lo sguardo solamente rivolto all’indietro in adorazione feticistica del passato significa esaurirsi, non crescere, rassegnarsi ad una vita rattrappita». E allora, cosa fare? Bisogna avere lo sguardo «avanti e indietro», come scriveva Petrarca «simul ante retroque prospiciens», senza recidere i fili con il patrimonio che ci ricorda ciò che siamo stati e guardando contemporaneamente al futuro, per costruire un mondo nuovo - noi, insieme, umanità in cammino capace di guardare avanti.
In questo senso la storia e i classici smettono di essere semplicemente magistri vitae da ammirare sbigottiti, e diventano un possesso per sempre, ktèma ès aeí, scriveva Tucidide. O, per dirla con Goethe, citato nel pensiero 79, «Ciò che hai ereditato dai padri / conquistalo per possederlo»: l’eredità dei classici e del passato è un patrimonio vivace, colorato seppur ingombrante «da far fruttare», non solo da conservare e ammirare. Ci si auspica, insomma, un nuovo Rinascimento da punto di vista culturale, una rilettura dei classici matura e distaccata. Ai classici non si può chiedere di rispondere alle domande del presente, ma solo di proporre nuovi interrogativi, senza «attualizzarli e addomesticarli per giustificare i nostri punti di vista». Seguire l’autore nei suoi discorsi è piacevole ed interessante: più che degni di nota sono i corsivi che ricollegano alcune parole alla loro etimologia, greca o latina. Una meraviglia di grazia e forma che ci fa sentire un po’ più vicini a due lingue che non molto tempo fa parlavamo tutti, e che oggi ci permettono di capire «chi siamo e come pensiamo»: d’altronde, in fondo, «noi parliamo greco quando parliamo di tempo (chrónos), mondo (kósmos), costume (éthos), filosofia (lógos), interiorità (psyché), dolore (páthos), formazione (paidéia), scuola (scholé)». E ancora, «Parliamo latino quando discutiamo di cittadinanza e militanza (Res publica, civitas, negotium, otium), di religione (religio, pietas, cultus), di valori morali (virtus, clementia, dignitas, iustitia).» I grandi temi La scuola. «Credo che la scuola sia rimasta, se non l’unico, uno dei pochi avamposti culturali e civili del Paese, anche se trattata da Cenerentola, della quale nessuno di essa si cura, come vediamo anche dai non-provvedimenti di questi giorni» dice l’autore a lettura.org. Nel libro sono numerosi i riferimenti alla questione scolastica e all’insegnamento: emblematico il pensiero 9, «Da dove ricominciare?», domanda alla quale l’autore dà una risposta secca, decisa, «dalla scuola», perché parlare di scuola significa oggi parlare di quei giovani a cui gli adulti dovrebbero assomigliare, il nostro tenace futuro in cammino. «Abbiamo bisogno di una scuola degli studenti e per gli studenti aperta h24; dove non si debba scegliere tra latino e informatica, ma – nella logica dell’et et e non dell’aut aut – si apprendono sia latino che informatica; dove si possano fare teatro e sport; dove non ci sia bisogno di ricorrere alla lezione privata; dove, soprattutto in alcune parti del Paese, i ragazzi trovino l’antidoto alla strada e alla criminalità; dove i docenti abbiano uno stipendio che li faccia vivere e non sopravvivere; dove i nostri ragazzi, per dirla con Mandel’štàm, possano dotarsi di “scarponi chiodati”, al riparo da ogni nefasta pedagogia facilitatrice.» (Pensiero 42) La parola. L’argomento è al centro della premessa, «La parola e il tempo»: l’autore segnala la necessità di un’ecologia linguistica, «vale a dire di parole che facciano pace con il tempo», perché nell’era in cui ci troviamo «del maximum dei mezzi di comunicazione» ci accontentiamo troppo spesso «del minimum della comprensione» e pur trattando colossali problemi economici, sociali e morali, tacciamo di fronte all’impoverimento del linguaggio. La parola tanto amata ed elogiata dal sofista Gorgia, che tutto può, oggi «non gode di buona salute, ridotta a chiacchiera come merce qualunque, ci chiede di ricongiungerla alle cose» (di qui, immagino, l’idea di collegare alcune parole alla loro etimologia). Migranti. Forti e chiari giungono sono ai giorni nostri gli echi dei tre titani della letteratura classica - Eneide, Odissea e Iliade, i poemi del viaggio e dell’accoglienza. Nel pensiero 73, «Dare asilo», l’autore riporta alcuni versi dell’Eneide, «Sgombrate dal cuore ogni sospetto e affanno / la città che io fondo è vostra» e dall’Edipo a Colono di Sofocle «Io sono cresciuto da straniero, come adesso sei tu. E non lo dimentico. Perciò non potrei mai mandare via / chi è uno straniero. Devo dargli il mio aiuto. / Io so di essere un uomo. Io so che il mio domani non è mio, / come il tuo non è tuo». Parole che devono destare, oggi più che mai, le nostre coscienze addormentate, per alimentare un dialogo eterno da non abbandonare mai, perché «omens peregrini sumus», come scriveva Sant’Agostino. Molto interessante, infine, il pensiero 29, «Lo dice anche il DNA», in cui si cita una ricerca pubblicata dalla rivista Science secondo cui Roma imperiale era un vero e proprio melting pot di culture: proprio come scriveva Seneca, «plures [...] peregrini quam cives». Temi delicati, riflessioni profonde, nuovi interrogativi e nuove proposte in questa graziosissima raccolta di «pensieri per il nostro tempo», necessaria per iniziare a costruire con consapevolezza il domani che verrà. Ivano Dionigi, latinista, è Presidente della Pontificia Accademia di Latinità e del Consorzio AlmaLaurea, Direttore del Centro Studi “La permanenza del classico” dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, di cui è stato Magnifico Rettore dal 2009 al 2015. Fonte intervista: https://www.letture.org/parole-che-allungano-la-vita-pensieri-per-il-nostro-tempo-ivano-dionigi Il libro è qui. Disclaimer: il titolo mi è stato inviato come omaggio dalla casa editrice
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