«Mi chiedo in questi momenti di sconforto, se sia valsa la pena di vivere, e in alcuni casi di morire, per un Paese che sguazza sempre nell’imbroglio e nel complotto, e, anziché scegliere il meglio delle radici cristiane e socialiste, laiche e liberali della Resistenza e della Costituente, continua a mettere insieme il peggio del clericalismo, del post-comunismo e della massoneria, il peggio di Arlecchino e Pulcinella. Il peggio del peggio, insomma, magari in nome del realismo, del bene comune, perfino del riformismo; magari in modo tale da far sembrare rimbambiti o ingenui (a seconda dell’età) quelli che lottano per un’Italia giusta e pulita, per un’Italia normale. Ma scaccio il dubbio e rispondo di no. Non è stata una foglia di fico, è stata la fionda di Davide. Lottare, anche in pochi, quando sembra impossibile vincere è in ogni tempo un utile, anzi insostituibile servizio alla libertà e alla giustizia, alla verità e alla pace. È stata efficace, anzi decisiva la lotta dei partigiani come Pertini o Franco Salvi contro il fascismo. E negli anni tremendi delle bombe, degli attentati terroristici, dello scandalo Lockheed, della loggia P2, dell’esplosione della mafia, sono stati cruciali il servizio di Pertini, Moro o mio padre ai vertici della Repubblica, la responsabile eppure implacabile opposizione di Berlinguer, il coraggio di magistrati e giornalisti come Walter Tobagi, della cui morte ricorre oggi il venticinquesimo anniversario, la vigilanza democratica di sindacati e cittadini, qui a Brescia e in tutta Italia. I sacrifici richiesti dal coraggio non sono serviti solo a salvare l’anima di chi li faceva. Quanti sacrifici sono serviti anche al bene di tutti. Hanno mostrato che, nei momenti difficili, pochi giusti coraggiosi sono sufficienti a inceppare la macchina del consenso al male, a risvegliare le coscienze, a salvare un intero Paese. [...] Sento come un privilegio e una responsabilità grande quella di professare questi valori e trasmetterli ai figli, affidando loro, insieme alla memoria del nonno Vittorio assassinato a cinquantaquattro anni, anche quella di Pertini partigiano e Pertini presidente, anche quella degli eroi di Piazza della Loggia, anche quella di tutti i testimoni e i caduti della democrazia, da Aldo Moro all’ultimo poliziotto, all’ultimo carabiniere. Con questo patrimonio di memoria alcuni dei nostri figli – non c’è bisogno che siano in molti, anche per il presente e per il futuro bastano pochi giusti e coraggiosi – attraverseranno, illuminandolo, il buio che, nonostante gli sforzi di ottimismo, io temo di vedere all’orizzonte, ancora per qualche tempo, in Italia e nel mondo.» Queste sono le parole di Giovanni Bachelet, figlio di Vittorio, ucciso dalle Brigate Rosse il 12 febbraio 1980. È un discorso lungo che mi ha molto emozionata, e spero possa raggiungere il cuore di altri come ha fatto con me. Sono parole dense, commoventi e significative di un uomo a cui la furia cieca della violenza terroristica ha tolto un padre, caduto mentre conversava con la sua assistente all’interno dell’università dove insegnava, la Sapienza di Roma, in un periodo di grande, drammatica confusione della storia del nostro Paese. Il testo integrale dell’intervento di Bachelet è consultabile qui [1]: è stato pronunciato nel giorno del 31esimo anniversario della strage di Piazza della Loggia, il 28 maggio 2015. Quella di Piazza della Loggia è la storia che ci raccontano Francesco Barilli e Matteo Fenoglio in «Piazza della Loggia. Misteri d’Italia a fumetti» edito BeccoGiallo. È una storia di dolore, amarezza e ingiustizie, ma anche di luce e di verità. Un grumo di violenza, una pagina tragica della nostra contemporaneità. La mattina del 28 maggio 1974 pioveva, a Brescia. In Piazza della Loggia c’era un sacco di gente: era stata organizzata una manifestazione di protesta contro alcuni attentati avvenuti nella zona. C’erano le bandiere delle organizzazioni antifasciste, dei socialisti, del PCI, dei Repubblicani, anche della Democrazia cristiana. [2] «La classe operaia e i lavoratori democratici con tutte le forze antifasciste scendono in lotta contro il terrorismo neo-fascista in difesa della libertà e della costituzione» titolava il manifesto della federazione CIGL-CISL-UIL. In piazza c’erano anche Giulietta Banzi, Livia Bottardi (quel 28 Maggio si recò alla manifestazione nonostante la «pioggia fascista», come affermò con la sua consueta ironia), Clementina Calzari in Trebeschi, Euplo Natali, Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti, Alberto Trebeschi, Vittorio Zambarda. [3] Giulia, Livia, Clementina, Luigi e Alberto erano insegnanti, tra i fondatori del comparto sindacale CGIL scuola. Erano tutti là, vicino a un cestino per i rifiuti attaccato ad una colonna, sotto i portici. Alle 10 e 12, mentre parlava Franco Castrezzati, scoppiò un ordigno. Nel cestino attaccato alla colonna c'erano sette etti di polvere di mina a base di nitrato di ammonio. «Uno scoppio secco, violento, un bagliore, ho pensato: è una bomba» dice Lucia Calzari nel documentario di Lucarelli. «All'improvviso l'esplosione, un rumore infernale, il lampo» ha detto Vittorio Zambarda, che ha perso la vita a causa delle ferite riportate dopo giorni di sofferenza in ospedale. È una delle poche stragi di cui conserviamo negli archivi una registrazione audio [4] che spacca il cuore. La bomba massacrò tutti quelli che si trovavano attorno al cestino. Investì Bartolo, lo fece a pezzi, sfigurandolo. Poi colpì il signor Vittorio, il signor Euplo. Centrò Luigi con una raffica di schegge, lanciò lontano Livia e Giulietta, sbattè la Clem per terra, a faccia in giù. Alberto saltò per aria, oscurando il cielo per un attimo. «State fermi, compagni e amici, state fermi! Calma!» ripete Franco Castrezzati dal palco «State all’interno della piazza! Il servizio d’ordine faccia cordone attorno alla piazza! Lavoratori, state all’interno della piazza! Invitiamo tutti a portarsi sotto il palco, venite sotto il palco! Lasciate posto alla Croce Bianca» ma attorno ormai c’era solo il caos, la morte, la disperazione. «Sopra di me c’erano molti corpi, ho visto un braccio con un giubbino blu sotto la mia testa, degli arti… sono svenuta» ricorda ancora la signora Calzari. «Quella mattina del 28 maggio, in Piazza della Loggia c’è l’inferno. C’è gente che grida, coperta di sangue, che non sa se sia il suo o quello di qualcun altro. C’è gente che cerca, si guarda attorno. C’è Manlio, che ha capito subito che quella è una bomba» [5] e trova la sua Livia, ancora viva, spera di poterla salvare. Ma Livia muore in ospedale, e l’unica cosa che Manlio riesce a dire all’infermiera che gli dà la tragica notizia è «Mi faccia una cortesia, le pulisca il viso». Manlio Milani oggi è Presidente dell’Associazione familiari dei caduti di Piazza della Loggia, ha fondato con il Comune e la Provincia di Brescia la Casa della Memoria, centro di documentazione sulla strage di Piazza della Loggia. Da quel maledetto 28 maggio, dopo quell’ignobile atto di terrorismo, il signor Milani non ha mai smesso di chiedere verità e giustizia per le vittime. In un viaggio denso di emozioni e dolore, è lui ad accompagnare i due autori alla scoperta della vicenda, lui che l’ha vissuta in prima persona, lui che ha perso l’amore per una bomba. E così emergono piano fra le pagine le storie delle vittime, vittime e non numeri, perché questo è quello che succede con le stragi, scrive Milani nell’introduzione al libro: «Dici: “Brescia, otto morti”, “Bologna, ottantacinque morti”. Numeri. Scompaiono i nomi, l’identità». Barilli e Fenoglio recuperano le vite, le anime, gli occhi, i cuori ancora pulsanti, le voci chiare e limpide, ferme nel tempo, che chiedono libertà, democrazia. I due autori intraprendono un cammino metaforico e grafico fatto di documenti e incontri, archivi e testimonianze, studi, libri di storia, pagine sfogliate. Una ricostruzione precisa, puntuale, accurata e accessibile. Parole chiare, dirette, lineari: quello di cui abbiamo bisogno per non dimenticare. L'ingarbugliato contesto storico viene spiegato nel capitolo 3 attraverso un inserto di tre pagine, GOLPE! Nuova edizione: un geniale espediente narrativo che racconta con grandissima lucidità i fatti della strategia della tensione. Siamo costretti ad imbatterci negli spettri inquietanti e deplorevoli di una storia non-troppo-lontana che pesa ancora sui nostri cuori e sulle nostre coscienze. Complotti, esplosivi, servizi segreti, violenza: un groviglio nero di tragedie firmate da quei gruppi estremisti che condividevano lo stesso motto, «destabilizzare per stabilizzare», dicono gli storici; un unico, drammatico fine: corrompere il sistema democratico. Ma chi è stato, quindi, a compiere la strage? Si escludono estremisti di sinistra, visto l’oggetto della manifestazione, e si esclude anche il gesto isolato di un folle. I sospetti vanno in una direzione ben precisa: l’estrema destra. Le indagini iniziarono fra mille incertezze e gesti poco accurati: i magistrati della Corte di Cassazione diranno nel 2014 che i metodi utilizzati da Francesco Delfino, capitano dei Carabinieri di Brescia, erano «non ortodossi» e in appello la sua condotta sarà definita «estrinsecata in plurimi atti abusivi». I processi giudiziari per la strage del 28 maggio1974 sono lunghi e tortuosi, un tunnel infinito dal quale non si riesce a scorgere nemmeno un bagliore di luce. Ma l’associazione dei familiari delle vittime non demorde, gli avvocati sono tenaci, lottano per la giustizia e per la verità superando lo sconforto, fra depistaggi e silenzi istituzionali. La tenacia, il coraggio, i valori democratici di cui parlava Bachelet: la lotta per la difesa dei propri ideali è «un utile, anzi insostituibile servizio alla libertà e alla giustizia, alla verità e alla pace» per quanto dolorosa possa essere. La risposta della cittadinanza alla violenza subita superò ogni immaginazione: ai funerali arrivarono in seicentomila da tutta Italia, da Trapani a Bolzano. Beatrice Bazoli, figlia di Giulietta, ai tempi bambina, ricorda di essersi chiesta se conoscessero tutti la sua mamma. La vicenda giudiziaria relativa alla strage di piazza della Loggia si è dispiegata nell’arco di 43 anni, concludendosi nel 2017. Si compone di ben cinque fasi istruttorie e tredici fasi di giudizio, concluse da altrettante sentenze, nell’ambito di tre processi. Primo processo, o “processo Buzzi”: tre sentenze (I grado, II grado e Cassazione) riguardanti le posizioni oggetto della prima istruttoria (Ermanno Buzzi e altre 15 persone); due sentenze (giudizio d’appello in sede di rinvio; Cassazione) relative alle posizioni (già oggetto della prima istruttoria) investite dal parziale annullamento della prima sentenza d’appello da parte della Corte di Cassazione. La seconda istruttoria si conclude con una sentenza che proscioglie l’imputato. Secondo processo, o “processo Ferri”: tre sentenze (I grado, II grado e Cassazione) riguardanti alcune delle posizioni (Cesare Ferri; Alessandro Stepanoff; Sergio Latini) oggetto della terza istruttoria; La quarta istruttoria si conclude con una sentenza che proscioglie tutti gli imputati. Terzo processo, o “processo agli ordinovisti”: tre sentenze (I e II grado e Cassazione) relative alla quinta istruttoria; due sentenze (giudizio d’appello in sede di rinvio; Cassazione) relative a due imputati della quinta istruttoria, condannati in via definitiva dalla Suprema Corte. Con la sentenza del 22 luglio 2015 è stato condannato Carlo Maria Maggi, leader di Ordine Nuovo, organizzazione neofascista veneta, e il suo sodale, Maurizio Tramonte, ai tempi della strage infiltrato del SID. La sentenza ha un grande valore storico: la condanna di una figura apicale di Ordine Nuovo conferma le pesanti responsabilità dell’organizzazione nella strategia della tensione; confermato anche, attraverso Tramonte, il coinvolgimento ambiguo e depistante dei servizi segreti dell’epoca. Le condanne sono state confermate in Cassazione nel 2017. [6]
[...] è questo stare dei tuoi occhi dentro i miei questo pensarvi vivi, liberi e scalzi le tasche piene di sassi, la memoria di voi che trema in noi come una stella incoronata di buio. Pierluigi Cappello Mandate a dire all’imperatore Crocetti Editore 2010 Quello che resta della strage di Piazza della Loggia, una drammatica pagina della nostra storia contemporanea, è esattamente quello di cui parla Cappello nella splendida poesia da cui trae ispirazione la storica Benedetta Tobagi per il titolo del suo libro riguardo la vicenda. Questo pensarvi vivi, liberi e scalzi, i volti degli uomini e delle donne caduti a causa la cieca violenza fascista che continuano ad animare le nostre coscienze, la loro memoria che trema in noi, come una stella incoronata di buio: otto stelle, quelle che brillano luminosissime nel cielo di Brescia e d'Italia da quando è stata confermata la condanna agli ordinovisti veneti, da quando abbiamo conosciuto la bellezza della verità dopo 43 anni di instancabile lotta. «La gente non si ricorda» scrive Benedetta Tobagi nel suo libro «oppure, se delle stragi una memoria resta, è qualcosa di distante, un soprammobile ingombrante e polveroso in un mausoleo. Qualcosa che non c’entra con il mondo che abitiamo, astratto e muto agli occhi di chi lo sfiora, si commuove o s’indigna un momento e poi, distratto, passa oltre». Io non voglio che questa memoria sia un soprammobile polveroso, e per questo sono grata a BeccoGiallo per aver pubblicato questo fumetto. E vorrei che non smettessimo mai di parlarne. Vorrei che nelle scuole ci insegnassero a sfogliare i libri di storia contemporanea, perchè le scuole sono il primo presidio di legalità, perchè resti vivo in tutte le comunità scolastiche il ricordo di quegli insegnanti caduti mentre manifestavano per la democrazia, perchè il sangue versato quel giorno non venga dimenticato mai. Troppi ragazzi ancora non sanno, troppi ignorano l'orrore della violenza perpetrata negli anni di piombo. E allora sogno una didattica che educhi a una memoria che non sia inutile nè polverosa, ma che, al contrario, possa farsi strumento di cittadinanza attiva e consapevole. In nome di Giulietta, Livia, Clementina, Euplo, Luigi, Bartolomeo, Alberto e Vittorio. Grazie a Manlio Milani per il suo esempio di legalità, giustizia, coraggio e tenacia. La democrazia va difesa come un dono prezioso, diceva la figlia di Pietro Dendena, caduto il 12 dicembre 1969: non dimenticheremo le vostre lotte, che sono anche le nostre, sono quelle di un'umanità in cammino verso la giustizia, sempre. [Grazie alla casa editrice BeccoGiallo per avermi inviato il pdf di questo splendido libricino. E' stato un piacere per me leggerlo e perdermi nello splendore degli archivi digitali consultati per scrivere questa 'recensione'. Grazie agli autori per la delicatezza, la chiarezza, il limpido rigore di questo gioiello civile.] Fonti
Disclaimer: il titolo mi è stato inviato come omaggio dalla casa editrice
0 Comments
Leave a Reply. |