Momo è la storia di una bambina che cresce in una piccola città della Normandia, negli anni ’90, con sua nonna. Armata di walkman e game boy come qualsiasi figlio di quei tempi, Momo esplora il mondo che la circonda, curiosa e pimpante. Ha perso sua madre, il suo papà è sempre in viaggio, in barca, assieme al nonno. Anzi no, forse il nonno, in realtà, è su un’altra barca, su un’astronave, ancora più lontano. Attorno alle protagoniste si sviluppa in estensione la comunità cittadina, un catalogo variopinto di bambini, ragazzi, uomini e donne diversi con i quali Momo e la nonna interagiscono quotidianamente. La sua non è una vita facile: deve fare i conti con i pregiudizi degli altri, sempre pronti a tuonare, burberi, «La nonna la cresce come capita». Agli occhi di chi la incontra, Momo è una ladruncola, una ragazzina allo sbando. L’incontro-scontro con gli adulti della vicenda è spigoloso, ed è forse per questo motivo che Momo fa riflettere anche i grandi, nonostante sia inserita nella collana «Tipitondi» per bambini della Tunuè. I disegni splendidi supportano la poeticissima, impalpabile dolcezza di una storia semplice che va delineandosi sin dalle prime pagine: Momo è una bambina «tutta pepe», come l’hanno definita su La Repubblica (1), che vive in simbiosi con sua nonna. Sono strette in un abbraccio senza fine, un amore indissolubile fatto di danze segrete strambe (la danza delle patate, ad esempio) e di abitudini apparentemente insignificanti che scaldano il cuore (la raccolta dei pisellini al mattino: Momo li odia ma vuole compiere quel gesto con sua nonna, sebbene sia costretta ad alzarsi molto presto per farlo). Nella vita di Momo c’è spazio per «la mia nonnina e il mio papà», e gli altri sono «tutti cattivi uguale». Tranne qualcuno, forse: Françoise, ad esempio, che compare nella storia come un angelo custode, è una giovane ragazzina con «i pattini e dei bei capelli», un modello per Momo, un punto di riferimento che la accompagnerà dall’inizio alla fine del libro; l’idea di poter diventare come lei, da grande, le fa brillare gli occhi per l’emozione. La traduzione di Stefano Cresti rivela un linguaggio semplice e tenero, fatto di vezzeggiativi e morbidezze, «marmottina», «puzzola», «smemorina», «monellaccia», «buscarti» che rimandano ad un giocoso quotidiano che ci appartiene, rendendo la storia familiare e accattivante. Come ha detto lo stesso Cresti (2), Momo è una graphic novel «pigliatutti in maniera autentica», un libro che scorre piacevole e che sa commuovere per la sua spontanea ed intrinseca bellezza. Momo è interessante perchè racconta una storia di crescita e formazione in cui gli adulti sono absentia: ci viene proposta la storia di una bambina che cresce danzando attorno al vuoto, legata alle sue radici («Bisogna sempre chiamare i nonni») pronta a difendere il suo papà anche se è lontano («non dite cose cattive sul mio papà!») E costretta a fare i conti con le difficoltà della vita prima del tempo. È una storia di solitudine, di complicità e di comunità dai colori vivaci (letteralmente: meravigliosi i disegni del mare, l’azzurro cielo che entra nel cuore e riempie i polmoni) e straordinariamente delicati. Le mie pagine del cuore sono quelle in cui Momo si rivolge al cielo dopo essere stata scossa dalla vista dei fulmini durante un temporale. «È il buon Dio» esclama la piccola, ricordando tutte le volte in cui il suo papà gli ha parlato e lui non ha risposto mai, «non è bello». La nonna la rassicura, allora, con proverbiale affetto, «Sono sicura che gli dice che gli manchi e che non vede l’ora di tornare da te». E Momo piange, le manca il papà, vuole che torni presto. C’è un disegno, un riquadro strappacuore: la nonna accarezza il viso di Momo per coccolarla - lei, a sua volta, poggia la sua manina su quella della nonna. Non credo ci sia bisogno di mettermi alla ricerca di parole per spiegare quello che il silenzio del disegno sa comunicare in maniera incredibilmente efficace. I silenzi parlano, a volte ci tocca solo ascoltarli piano. Momo nasce da un’idea di Jonathan Garnier e dalla mano di Rony Hotin. Dopo aver lavorato come grafico e illustratore, Garnier diviene direttore editoriale ed artistico della collana Étincelle presso Ankama Editions; Rony Hotin, invece, si è specializzato in cinema d’animazione al Lycée Techinque des Arts et Métiers du Luxembourg; in computer grafica 3D all’Emca di Angoulême e alla Ecole de l’image Gibelins, ha successivamente lavorato per quattro anni per la Disney. L’idea di Garnier è ancorata ad una serie di fotografie del giapponese Kotori Kawashima. I suoi riferimenti iconografici «si sono arricchiti di vecchie fotografie sbiadite ripescate nei mercatini della domenica». Il progetto nasce per essere ambientato in Giappone, ma viene trapiantato, per scelta dello sceneggiatore, nel luogo teatro della sua infanzia - la Normandia degli anni ’90 del secolo scorso. Momo è vincitore di nove premi, fra cui il Prix Bull’Gomme, il premio Pépite BD al Salon du livre et de la presse jeunesse de Montreuil, il premio Jeunesse Bédélys (Quebéc). È stato pubblicato in Francia nel 2017 e in Italia con Tunué nel Giugno 2020. Fonti citate
1 La Repubblica, Come in un cartone giapponese, arriva il fumetto di Momo: https://www.repubblica.it/robinson/2020/06/22/news/come_in_un_cartone_giapponese_arriva_momo-259904072/ 2 Diretta Facebook di presentazione con il traduttore S. Cresti, pagina Facebook Tunuè https://www.facebook.com/watch/live/?v=277835526753989&ref=watch_permalink Momo è disponibile qui: https://www.tunue.com/product/momo-jonathan-garnier-e-rony-hotin/ Grazie all'ufficio stampa della casa editrice per avermi inviato una copia omaggio di questo splendido libro.
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