Recensisco questo libro in collaborazione con BeccoGiallo per l’iniziativa Storia & Memoria: per ripensare il futuro, riflettere sul presente a partire da un passato che troppo spesso sentiamo più lontano del dovuto. La Storia può - deve - essere "possesso per sempre", κτημα εις αει, scriveva Tucidide. Ringrazio la casa editrice per la disponibilità. Cosa si sa del delitto Moro, del caso Moro? Cosa sappiamo, noi, davvero? Spesso ci limitiamo ad un enunciato singolo: «Fu rapito e ucciso dalle Brigate Rosse.» Perché? Qualcuno provò a salvarlo? Perché sì, perchè no? Il caso Moro di Luca Bagnasco e Tommaso Arzeno ricostruisce i 55 giorni che separano il rapimento dall’omicidio dello statista democristiano, dipingendo gli equilibri del potere, le reticenze, le debolezze degli uomini che affrontarono la questione, ai tempi. Il fumetto, inserito nella collana Misteri d’Italia a fumetti, si apre con il ritratto del dialogo fra Moro e Berlinguer, Aldo e Enrico: progettavano insieme una nuova stagione politica per l’Italia, fatta di collaborazione e partecipazione popolare. Per quel progetto furono molto criticati - e probabilmente Moro lo pagò con la vita.
Moro fu tradito? L'idea che permea le pagine di questo fumetto è che il politico pugliese sia stato lasciato solo nella gabbia del leone. L’intuizione ci viene suggerita da un parallelismo interessante: Moro viene accostato a Giulio Cesare, che gli appare in sogno mentre attraversa l’aeterna urbs nel giorno in cui venne pugnalato, il 15 marzo (Moro fu rapito il 16 marzo 1978). Il corto circuito è impressionante. «Eravamo preoccupati per te», gli dicono i colleghi, vestiti da antichi senatori. Ma sono solo maschere vuote, senza espressione. Il rapimento Moro si inserisce in un quadro storico e politico difficile, un grumo nero di stranezze. Nel fumetto pubblicato dalla casa editrice BeccoGiallo, esempio perfetto di graphic journalism, non c’è spazio per la dietrologia. «Lo scoop per noi non era importante», ha detto Bagnasco (1), «lo era invece raccontare il sentimento del periodo, come viveva la gente, come viveva si viveva a Roma in quell’anno». Un altro elemento centrale che mi sembra di poter riconoscere è l’intenzione da parte degli autori di ricostruire l’esperienza della prigionia vissuta sulla pelle dell’uomo, attraverso la lettura dei testi scritti fra marzo e maggio del ’78, nella prigione del popolo. «Vorrei restasse ben chiara la responsabilità della DC con il suo assurdo e incredibile comportamento», scrisse Moro. Il suo partito scelse la linea della fermezza verso la fine di marzo dello stesso anno: respinsero ogni possibile trattativa con i terroristi. (A loro si aggiunse il PCI di Enrico Berlinguer. Solo Bettino Craxi aprì uno spiraglio, ad aprile). C’è spazio anche per i timori, per le angosce del padre, del nonno, dovuti al rapido rincorrersi - consumarsi - dei giorni. «Ricordatemi nella vostra preghiera così come io faccio, vi abbraccio tutti con tanto affetto ed i migliori auguri. Vostro Aldo». Le lettere di Aldo Moro furono scritte con la convinzione che le sue parole sarebbero rimaste segrete - Moro sa bene che esiste il linguaggio delle lettere pubbliche, che vengono pubblicate dai giornali; e il linguaggio, più esplicito, più brutale, delle lettere private, in cui non ci sono terzi a guardare e giudicare. (2) Ha scritto Francesco Piccolo in Il desiderio di essere come tutti: Ne scrive tre: una a sua moglie Nora, del tutto personale; cerca di rassicurarla e trae conforto dai ricordi della vita familiare - e questa sarà la caratteristica principale delle parole che arrivano dalla prigionia: un uomo che parla ai suoi cari, più che il grande uomo di Stato processato nella prigione del popolo. Calvino lo dirà subito: «Fin dalla prima lettera è stato chiaro che Moro ha rinunciato alla sua immagine pubblica e assumeva quella di uomo di famiglia cui interessa solo che lo lascino tornare a casa». Moro è stato rinchiuso in un luogo non perfettamente precisato. Ai tempi si parlò di una casa in Via Gradoli (individuata dopo una bizzarra seduta spiritica alla quale partecipò anche Romano Prodi) a Roma - si trattava effettivamente un covo brigatista che fu trovato vuoto dopo una retata. È stato ritrovato morto il 9 maggio del 1978. Sulla sua storia c’è molto ancora da dire, molto da scrivere, molto da cercare. Il nostro compito, oggi, forse, è uno solo: ricordarlo. Ricordarne la tenacia, la debolezza, la sofferenza, gli errori, gli inciampi. E ricordare anche di quando lo Stato abbandonò uno dei suoi uomini nelle mani del terrore. Un’ultima riflessione, ancora suggerita da Piccolo. Lo scrittore sostiene che la pubblicazione delle lettere dalla prigionia abbia cambiato radicalmente l'esito della vicenda intera: Moro gioca tutte le carte che può giocare, subito, con Cossiga. Lo minaccia con la sua autorità - Cossiga è un suo allievo; minaccia il partito; minaccia lo Stato. Ma lo fa - pensa di poterlo fare - perché la sua lettera è in forma privata. Quella minaccia invece, quando verrà resa pubblica, suonerà inaccettabile. […] Ma quello che importa, è che quella prima lettera a Cossiga, resa pubblica, cambiò la storia del rapimento e di conseguenza la storia del Paese. Quindi, la domanda è: furono illuminati per il meglio, Cossiga e gli altri? Secondo le richieste di Moro, evidentemente no. Secondo l'idea che ci siamo fatti adesso, col tempo, sicuramente no. Ma noi oggi accumuliamo il presente di allora a tutto quello che abbiamo sentito, capito e digerito dopo. […] E riflette poi su quanto fu effettivamente dolorosa la scelta della linea della fermezza: Il desiderio autentico di quelle settimane del 1978, quello sincero e pulito, era avere Moro vivo, ma non venendo meno all'idea di fermezza: lo Stato non può trattare con un gruppo terroristico. Ancora, si sofferma sulla sovrapposizione fra linea della fermezza e mancanza di volontà di liberare Moro. Un moderno scontro fra Creonte e Antigone: L’idea della fermezza si è apparentata, nel pensiero degli anni successivi, con la mancanza di volontà di liberare Moro. […] Le Brigate Rosse non avevano rapito l'essere umano Moro - o meglio, a loro non importava questo, ma il ruolo che aveva nella politica italiana (le Brigate Rosse si erano comportate con questo criterio guerrigliero fin dalla loro nascita); quindi era stato rapito un simbolo dello Stato - e nel rapimento erano stati uccisi degli uomini, il che è fondamentale ricordare per la reazione netta che ebbero tutti, dal presidente della Repubblica (Giovanni Leone, appunto), al Parlamento, al governo costituendo, fino a tutti i cittadini o quasi tutti. Quindi opporre al terrorismo nel suo atto di guerra più feroce, eclatante, di sfida aperta allo Stato - opporre la fermezza fu immediato; e credo si possa azzardare: inevitabile. Infatti, le incrinature di questa presa di posizione dello Stato non saranno politiche, nei giorni della prigionia, ma di portata emotiva: la famiglia, le lettere disperate di Moro, le sue foto, il pensiero insopportabile di quell'uomo potente preda di un dominio di altri. Quindi, man mano che i giorni passavano, il simbolo dello Stato arretrava, l'essere umano avanzava in primo piano per i cittadini che assistevano allo strazio senza poter fare nulla. Ecco, questa situazione, e questa scelta, oggi si confonde troppo con la seconda, che da un certo punto in poi non si sia più voluto salvare Moro per tante ragioni e per varie paure delle conseguenze. La mancanza di volontà, dolosa, si è arrampicata sulla fermezza come un parassita, in modo da esserne giustificata; questa confusione ha fatto in modo che le due istanze, quella autentica (giusta o sbagliata che fosse) e quella torbida, diventassero una sola. La prima era limpida e moralmente solida. Discutibile quanto si vuole, perché come per lo scontro tra Creonte e e Antigone, si può propendere per la superiorità del bene pubblico sulla pietà umana, o per la superiorità della pietà umana sul bene pubblico. E, appunto, una questione di grandissima potenza, che riporta di continuo davanti alla mente il rapporto tra individuo e uomo sociale. Ed è, come nella tragedia di Sofocle, un'opposizione inconciliabile, il punto dove una sola delle ragioni può sopravvivere. E in quel momento, poiché nei confronti di Moro prevalse l'idea del bene pubblico (Creonte), nel tempo e per senso di colpa sappiamo dire soltanto le ragioni di Antigone. Soprattutto perché non abbiamo mai creduto all'onestà di tutti i Creonte. Ma l'errore che si fa ora è quello di tenere dalla stessa parte - e anzi, ripeto, di rendere confuse in un solo pensiero - la fermezza e la mancanza di volontà di far tornare Moro vivo. [...] E certo, non si può nascondere il fatto che la ragione di Stato è meno difendibile quando i rappresentanti dell'istituzione sono coloro che macchiano la pulizia degli intenti con le trame che confondono per prime il loro ruolo. Ciononostante, va detto, se si crede ancora in uno Stato e per questo si continua a vivere e a occuparsi di questo Paese - ciononostante, la politica della fermezza fu una posizione pulita, necessaria, e per molti versi condivisibile. In più, è innegabile un risultato di quella politica, pagato a un prezzo senza dubbio altissimo: la sconfitta delle Brigate Rosse. Che in quel momento apparvero all'apice della loro dimostrazione di forza, mentre fu semplicemente l'inizio della loro fine. La capacità di ridurre e ricattare lo Stato venne meno. E oggi noi rivediamo quella storia del rapimento con gli occhi del ridimensionamento successivo delle Brigate Rosse, ma soltanto perché quella storia ha contribuito in modo decisivo a determinarlo. Le BR, dice Piccolo, erano al loro apice, allora - apice che coincidette con l’inizio del declino. E quella storia, quella fermezza ha contribuito in modo decisivo a determinarlo, il declino. Destreggiarsi in queste pagine della nostra storia è complicato ma necessario. La Storia siamo noi, la Storia è questo, noi siamo questo. Riflessione, etica, morale. Il caso Moro di BeccoGiallo ci aiuta a ricostruire un passato difficile che è ancora presente, ancora attuale: quella fermezza, quelle idi di Marzo ancora ci interrogano. Non smetteranno mai di farlo, forse. Al lettore le sue conclusioni. Note
Il fumetto è disponibile qui https://www.beccogiallo.it/prodotto/il-caso-moro-2/. Ringrazio la casa editrice per la copia ricevuta. Film da vedere Buongiorno, notte di M. Bellocchio (2003) Todo modo di E. Petri Libri da leggere L’affaire Moro di L. Sciascia Lettere dalla prigionia a cura di M. Gotor
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