Appartengo a quella parte dell’umanità – una minoranza su scala planetaria ma credo una maggioranza tra il mio pubblico – che passa gran parte delle sue ore di veglia in un mondo speciale, un mondo fatto di righe orizzontali dove le parole si susseguono una per volta, dove ogni frase e ogni capoverso occupano il loro posto stabilito: un mondo che può essere molto ricco, magari ancor più ricco di quello non scritto, ma che comunque richiede un aggiustamento speciale per situarsi al suo interno. Quando mi stacco dal mondo scritto per ritrovare il mio posto nell’altro, in quello che usiamo chiamare il mondo, fatto di tre dimensioni, cinque sensi, popolato da miliardi di nostri simili, questo equivale per me ogni volta a ripetere il trauma della nascita. Italo Calvino, Mondo scritto e mondo non scritto, Mondadori La madre, l'amore, i ricordi, la malattia che tutto spazza. La fiducia nella letteratura. La vita che nasce e che muore. Corre, salta, sbuffa. Abbraccia, stritola. E sorprende, sempre. [Vita meravigliosa, sempre mi meravigli - P. Cavalli] Vi racconto la mia esperienza di lettura di Tempesta madre. In questo libro ci sono: un adulto che è stato un bambino, una madre-tempesta, un padre soprannominato Grazie-scusa, due donne bellissime, Stefania e Veronica, e un mare di vita. L’adulto-bambino (o bambino-adulto, insomma) si chiama Jacopo, ha trentun anni ed è un dipendente del comune di Napoli; è single e frequenta i corsi di formazione per rimorchiare le colleghe divorziate. Quand’era piccolo, Jacopo abitava «in esilio» al Rione delle Mosche con sua madre, che quasi mai è mamma ed è spesso la segretaria; avevano occupato abusivamente un appartamento nel quale avevano imparato a diventare grandi insieme fra mille sacrifici: «Ero contento che fossimo poveri, perchè era la forma di protezione più a buon mercato che potessimo trovare».
La segretaria vestiva Jacopo da Hitler, a carnevale. Oppure da Freud, Robespierre, Einstein; a 8 anni gli faceva imparare le poesie di Majakovskij a memoria, fra una lettura di Goethe e l’altra. Lui divorava libri e scriveva poesie, rifugiato nella cella frigorifero della macelleria di suo padre: «Il libro esteriore era solo un pretesto perchè io assorbissi la mia educazione sentimentale leggendo quello interiore, composto da frasi chirurgiche e affilate» e mentre leggeva segnava le frasi più belle, «ero un ragazzino terrorizzato, ed era naturale che camminassi lungo la strada battuta da tutti gli uomini infelici dall’inizio della storia». La famiglia di Jacopo è scomposta, irregolare. Sua madre è una donna bellissima, prima Segretaria delle Edizioni Brahms, poi disoccupata. Capricciosa, lunatica, iraconda, sempre schietta, non teme giudizi e critiche, si veste di tempesta: Esce poi anche lei dal bagno, fumando e piangendo, le due cose che le vengono meglio. La vedo togliersi le lacrime dalla faccia con la mano aperta. Camminiamo affiancati verso il parcheggio, un dittatore e una donna che piange. […] Ero pronto a diventare quello che desiderava, la mia intelligenza, ereditata dal ramo della sua famiglia, non dall'altro che vedeva solo falliti e macellai con la terza media, non aveva limiti. […] La segretaria mi capiva al volo, avevamo un vocabolario amorevole e privato. Suo padre fa il macellaio, è un uomo umile e buono che vota comunista, più perché odiava a quegli altri che per coscienza di classe, e aveva una simpatia verso i più sfortunati. Si faceva il segno della croce e non bestemmiava. La nonna lo chiama Grazie-scusa perchè sbagliava spesso le parole lei lo correggeva. Lui ascoltava la lezione e diceva scusate signora, e poi, grazie. […] Mi aveva sempre voluto bene, mio padre. Lo so perché me lo diceva. Piazzava quella frase dritta, che non poteva essere fraintesa. All’Istituto di suore Santa Sofia, Jacopo era «quello strano». Troppo maturo - come se poi la maturità possa essere una colpa - e troppo intelligente. Durante un saggio di poesia, un giorno, Jacopo interpretò una poesia composta con l’aiuto del professor Iannelli (al quale suo padre dava qualche soldo perchè lo tenesse a casa, il pomeriggio). Iannelli è per Jacopo guida e mentore nel mondo delle parole - che vanno maneggiate con cura - dicono, salvano e incantano. Il testo della poesia era sconvolgente, denso di riferimenti sessualmente espliciti. In mezzo al pubblico, paralizzato dallo sconcerto, la segretaria svenne. È questo il momento in cui Jacopo capisce che lui e sua madre sono collegati: Non lo so se il collegamento funzionava in entrambe le direzioni, ma negli anni che abbiamo vissuto assieme avrei sempre presagito quando le stava per accadere qualcosa. Mi scivolava un bicchiere di mano, oppure non trovavo le chiavi di casa, e il giorno dopo lei aveva l'allergia che le faceva uscire le bolle sulle braccia. Non era il momento preciso dell'inizio della malattia, quello era posizionato così indietro nel tempo che bisognava scavare nel DNA della nostra famiglia, ma era stato uno dei tanti inizi. Quello fra Jacopo e la segretaria è un legame sempre meravigliosamente simbiotico messo in subbuglio, improvvisamente, dall’incombere minaccioso della malattia: una notte la segretaria viene trovata mentre vaga per il quartiere vestita da sposa. Una nuova inquilina di quel corpo stava sfrattando la donna che lo aveva abitato da sempre. Jacopo è ormai adulto, ha una casa e un lavoro, e decide di affidarla alle cure del personale di Villa Arby: comprende che deve imparare a fare i conti con il male che sta divorando i suoi pensieri e i ricordi più belli del tempo passato insieme. Inventa così nuovi gesti d’amore, di cura e di attenzione: costruisce per lei un nuovo album di famiglia, nella speranza di rappacificarla con quel passato nebuloso che le affolla la mente. Mette insieme pezzetti di infelicità perduti, va alla ricerca delle foto che li ritraggono, felici: non siamo mai al centro dell'inquadratura. Viviamo nella periferia di quei ricordi, non ci possiamo permettere nemmeno di essere il soggetto delle nostre fotografie. Nel frattempo fa i conti con Veronica, una donna bellissima piombata nella sua vita una notte in albergo a Milano; Veronica gli ha insegnato una lezione importante: gli sconosciuti , a volte, possono salvarci. Proverà a dirgli cos’è l’amore, con garbo e grazia, in silenzio, in punta di piedi. I due piani narrativi si riconciliano metaforicamente nelle bellissime pagine finali. Quel mare di vita irrompe nell’esistenza di Jacopo - e quasi tutto, almeno sulla pagina, sembra avere un dolcissimo, nuovo senso. Tempesta madre è un libro bellissimo, semplice, acuto, aspramente ironico. Con una scrittura mai stravagante ed eccessiva (l'autore ha ben imparato la lectio del prof Iannelli, «Bisogna pulire, la maggior parte delle parole che usi non serve») Solla ci regala una storia nella quale si nascondono luminose riflessioni preziose sulla letteratura e sulla scrittura. Jacopo conosceva benissimo il valore delle parole, da bambino, e continua a maneggiarle con cura anche da adulto: ha imparato a farlo frequentando sentieri fatti di pagine, navigando sulla sua personalissima, infallibile zattera di libri (Ermanno Rea ha scritto, in un romanzo meraviglioso: «Io so che vivendo di libri e per i libri navigo su una zattera che non affonderà mai). Nel «mondo non scritto» di cui ha parlato Calvino in un suo saggio, «mondo speciale, un mondo fatto di righe orizzontali dove le parole si susseguono una per volta, dove ogni frase e ogni capoverso occupano il loro posto stabilito», Jacopo trova rifugio. Ma c’è di più: attraverso quel mondo riesce anche a capire il «mondo non scritto», a dare un senso al «guazzabuglio del cuore umano» (questo è Manzoni) e dei suoi sussulti. La vita quotidiana si lega così alla scrittura - alla lingua - che diventa strumento per dire e per comprendere, per abbracciare l’esistenza nelle sue imperfezioni e irregolarità; per capire la madre, per mettere ordine fra i ricordi, per declinare un futuro nuovo. Quella di Solla è una dichiarazione d’amore e di fiducia nelle lettere - nel libro, nel lettore - di cui, credo, abbiamo grande bisogno. Scrivere mi serve per vedere il meccanismo delle cose. Le parole sono i muscoli e le ossa. A volte ti sembra che nella vita tutto succeda senza un motivo, invece il motivo c'è sempre, solo che all'inizio non lo vedi. Se una cosa la puoi scrivere, allora vuol dire che la puoi capire. Il libro è qui, sul sito Einaudi. Ringrazio la casa editrice per la copia.
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