Mettiamo i puntini sulle i: Vanessa Ambrosecchio non ha scritto un libro sulla didattica a distanza; ha scritto un libro che parla di scuola prima e durante la tempesta – e quindi anche, purtroppo, in Dad. Ma Tutto un rimbalzare di neuroni (Einaudi, giugno 2021) è prima di tutto un libro che racconta un’insegnante, La Pro, e i suoi ragazzi meravigliosi – Zoran, Mattia, Manfredi, Aurora, Manu, Giada, Marzia, Teo, Barbara, Sara (dimentico qualcuno, sicuramente) – la 3H di una scuola secondaria di primo grado siciliana. È un romanzo che racconta sguardi e incontri (Che cos’è l’insegnamento infatti, se non un improvviso «vedersi» tra esseri umani?, ha scritto Susanna Tamaro). Come tutti gli altri abitanti del pianeta scuola, La Pro e i suoi alunni si sono trovati a fare i conti, nel marzo scorso, con un nuovo modo di fare lezione. E i ragazzi si sono, scrive Ambrosecchio, improvvisamente ristretti: Ministro, mi si sono ristretti gli alunni! Mi si sono ristretti in una centrifuga virtuale che gli ha tolto il sorriso e il broncio, i capelli impastati dei maschi e quelli stirati e lucidi delle ragazze, l’odore di lip gloss, di mottino schiacciato tra i libri, di fiato crudo al mattino, di erutto sgasato dopo la ricreazione. Gli ha tolto i corpi sgraziati, ingombranti, impacciati, le mani sempre in movimento, le teste ciondoloni. Gli ha tolto i rumori, le urla, i mormorii, le reazioni inconsulte, gli abbracci, le zuffe, le canzoni. Gli ha tolto i pianti, gli sguardi eloquenti, la gioia scalmanata di quando dici che domani è vacanza. […] Questi dati la piattaforma non li registra. […] Di «loro», ministro, nessuna traccia. Sono diventati funamboli in bilico sul nulla, costretti, da un momento all’altro, a stravolgere la loro quotidianità. Ambrosecchio riporta sensazioni che conosco bene, da (ex, sigh) studentessa liceale: l’inizio, scrive, aveva l’aria frizzante di una scampagnata inattesa. Nelle chat di classe si esultava soltanto, lo ricordo perfettamente: sembrava che avessero anticipato le vacanze. E c’era pure, nell’aria, quello stupore ingenuo che si lega inevitabilmente alla novità, poi scacciata via con violenza dalla paura.
A metà del primo appuntamento avevo già l’emicrania, dice La Pro. Lezioni condite con «Prof, non vedo niente», «Chiudete i microfoni!», «Prof, si sente l’eco», «Prof, la sua connessione è pessima» dal primo all’ultimo giorno. E poi la scomodissima sensazione di aver perso ogni confine: non c’è più limes tra fuori e dentro, scrive l’autrice, pubblico e privato si confondono, un po’ ci sentiamo sovraesposti, entriamo nelle case degli altri, ne sconvolgiamo l’intimità, trascinata via insieme alla routine. La scuola si è trasferita nella nostra cameretta - casa mia era un istituto comprensivo: fratello in primaria, sorella in primo liceo, io in quarto -, un'invasione di campo forzata che ci ha obbligati a ripensare anche i nostri ritmi. Con grande tenerezza, in una prosa chiara e quotidiana, Ambrosecchio descrive il mondo che abbiamo abitato. La sua protagonista si mette a nudo, svelando dubbi e debolezze legate ad un mestiere per il quale non esistono manuali, fatto di domande e spesso paura di non essere all’altezza. Ma La Pro c’è sempre, ci prova, resta in ascolto, si rende disponibile a qualsiasi ora del giorno e della notte, persino. E questo suo dolcissimo tentativo di opporre al caos tutta la tenerezza racchiusa in un gesto di cura (ascoltare, aspettare, rispettare l’altro con i suoi inciampi, le sue difficoltà) che sopravvive anche ‘in digitale’ commuove e fa pensare. Ho solo questa webcam e i miei occhi, adesso, per non mollarlo, per non farlo mollare. Il gioco fra piani temporali sovrapposti – passato e presente – permette uno sguardo ai giorni prima del temporale. La Pro racconta la sua scuola in presenza, l’appello emotivo (l’insegnante chiama i ragazzi in ordine alfabetico; i ragazzi indicano la presenza e danno un voto da zero a dieci al proprio umore, senza spiegazioni), spazio franco di sfogo, terreno di scontro e confronto, ma soprattutto la nostra casa, la casa dove si piange, si ride, ci si arrabbia. La classe che ha costruito per i suoi ragazzi assomiglia ad un porto sicuro in cui sentirsi protetti. Le vite sono sempre più complicate, di prima mattina. Poi ti riesce di dimenticarlo, soprattutto a scuola. A questo dovrebbe servire la scuola, soprattutto. Quando Pro tenta un appello emotivo in didattica a distanza percepisce il naufragio della scuola. Ecco cos’era lo stato di emergenza. Ci aveva investiti inatteso, ci aveva trovati impreparati, ci aveva fermato i motori, scassato la nave, dispersi tutti. In queste parole c’è la rabbia di molti insegnanti e studenti. C’è quel profondo senso di smarrimento che ho provato anch’io, nel tempo, la sensazione di essere stati truffati, l’impossibilità di individuare un colpevole, il rimpianto per tutto quello che avremmo voluto fare (la gita del quinto anno, per noi a Torino, i festeggiamenti per i nostri diciotto anni, gli incontri con gli autori dei libri che abbiamo amato e altre mille sciocchezze piene di significato) e che ormai non trovava più spazio nel presente (e nemmeno nel futuro: adesso non abbiamo un futuro da riempire, scrive Ambrosecchio). Nessuno di noi dimenticherà mai tutto questo, e forse è giusto così. Nel bene e nel male questi sono stati i nostri anni. Difficili, confusi, ingarbugliati ma pur sempre unici e irripetibili. Anni di vicinanza nella lontananza, di momenti in cui ci siamo riconosciuti tutti simili (studenti e docenti) nel nostro essere smarriti. Oggi c’è da pensare una scuola diversa, ripartire da questo lungo inciampo per costruire un orizzonte nuovo e accogliente per tutti, più inclusivo, a misura di studente – un’istituzione capace di prendersi cura di ognuno (si cresce solo se sognati, ha scritto Danilo Dolci), capace di coltivare con amorevolezza e serietà i sogni di ciascuno. In questo romanzo si racconta un episodio meraviglioso: La Pro invita le mamme dei suoi studenti per discutere, insieme a lei e ai loro figli, di Oh, Boy!, scritto da Marie-Aude Murail. Dalla lettura scaturisce un flusso di pensieri condivisi inarrestabile: strepitoso esercizio di ermeneutica e democrazia. Il libro, strumento del dialogo e dell’incontro. Mi piacerebbe che quest’attività fosse proposta ovunque. Se mi chiedessero da dove cominciare per costruire la nuova scuola, direi proprio da qui, da questo 'pensare insieme'. [Postilla importante: Tutto un rimbalzare di neuroni non è un libro contro la Dad. È un romanzo che molto onestamente ne dichiara limiti e difetti (Quella che facciamo adesso non dico che è buona o cattiva. Dico che è un’altra cosa. È un’altra scuola, ecco) e racconta anche il grandissimo sforzo compiuto da insegnanti e studenti nell’ultimo anno e mezzo. Nel marzo 2020, mentre nel mondo prendeva piede Covid-19, infezione sconosciuta e contagiosa, c’era davvero poco da fare: per questo, armati solo di grande pazienza, ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo provato ad abitare le nuove classroom virtuali. «Cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio», ha scritto Calvino ne Le città invisibili.] Il libro è qui. Ringrazio l'Ufficio Stampa della casa editrice per la mia copia. Tutto un rimbalzare di neuroni 2021 I coralli pp. 136 € 15,00 ISBN 9788806250249 Cosa resta della scuola senza le levatacce al mattino, l'odore di ormoni, i panini nello zaino? Senza i litigi nel cambio d'ora, gli sguardi in tralice, le corse fuori appena suona la campanella? Eppure la scommessa è sempre la stessa: riuscire a raggiungere gli allievi, a toccarli, anche se sono ben nascosti dietro una videocamera spenta, piú simili a impiegati in smart working - soli, assonnati, inafferrabili. Insegnare in Dad significa provarci dieci volte di piú, sperando che duri il meno possibile. Un viaggio spericolato e vivissimo nel controsenso della scuola a domicilio.
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