Momo è la storia di una bambina che cresce in una piccola città della Normandia, negli anni ’90, con sua nonna. Armata di walkman e game boy come qualsiasi figlio di quei tempi, Momo esplora il mondo che la circonda, curiosa e pimpante. Ha perso sua madre, il suo papà è sempre in viaggio, in barca, assieme al nonno. Anzi no, forse il nonno, in realtà, è su un’altra barca, su un’astronave, ancora più lontano. Attorno alle protagoniste si sviluppa in estensione la comunità cittadina, un catalogo variopinto di bambini, ragazzi, uomini e donne diversi con i quali Momo e la nonna interagiscono quotidianamente. La sua non è una vita facile: deve fare i conti con i pregiudizi degli altri, sempre pronti a tuonare, burberi, «La nonna la cresce come capita». Agli occhi di chi la incontra, Momo è una ladruncola, una ragazzina allo sbando. L’incontro-scontro con gli adulti della vicenda è spigoloso, ed è forse per questo motivo che Momo fa riflettere anche i grandi, nonostante sia inserita nella collana «Tipitondi» per bambini della Tunuè.
I disegni splendidi supportano la poeticissima, impalpabile dolcezza di una storia semplice che va delineandosi sin dalle prime pagine: Momo è una bambina «tutta pepe», come l’hanno definita su La Repubblica (1), che vive in simbiosi con sua nonna. Sono strette in un abbraccio senza fine, un amore indissolubile fatto di danze segrete strambe (la danza delle patate, ad esempio) e di abitudini apparentemente insignificanti che scaldano il cuore (la raccolta dei pisellini al mattino: Momo li odia ma vuole compiere quel gesto con sua nonna, sebbene sia costretta ad alzarsi molto presto per farlo).
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Prima di raccontarvi questo libro devo raccontarvi una storia. E non so se si faccia proprio così, con le recensioni, chè alle elementari mi hanno insegnato che bisogna essere oggettivi e bla bla bla… ma per una sentimentale come me queste regole non hanno senso.
E quindi io ve la racconto. Qualche anno fa, uno o forse due (alle medie, sigh) ci è stato proposto un progetto sulle pari opportunità. Siamo stati seguiti da una giornalista che ha cercato di sviluppare il tema del progetto in maniera ‘orizzontale’, attraversando periodi storici diversi, in un viaggio alla scoperta di voci di donne straordinarie. E così abbiamo parlato di Suffragette ma anche di femministe dei tempi nostri, forti, tenaci e resilienti. Ricordo di aver condiviso con il resto della classe un bellissimo discorso di Emma Watson alle Nazioni Unite, «Più ho parlato di femminismo e più mi sono resa conto che troppo spesso battersi per i diritti delle donne era diventato sinonimo di odiare gli uomini. Se c’è una cosa che so con certezza è che questo deve finire. Per la cronaca, il femminismo per definizione è la convinzione che uomini e donne debbano avere pari diritti e opportunità: è la teoria dell’uguaglianza tra i sessi – politica, economica e sociale». La tutor era entusiasta, la mia insegnante anche. Io quel discorso lo porto nel cuore, perchè lo condivido e perchè è stato uno dei primi tasselli della mia formazione culturale. Nell’ambito dello stesso progetto ci siamo dedicati all’approfondimento delle biografie di alcune donne famose - da Malala ad Angela Davis, passando per Franca Viola e Nellie Bly. Ci furono distribuite un po’ di fotocopie che custodisco tutt’ora gelosamente nel mio cassetto dei materiali «da non dimenticare» accumulati negli anni. E mentre riordinavo la stanza, l’altro giorno, sono riemerse: un tuffo al cuore. Persa nel mondo del web, nel tentativo di risalire al titolo del libro che le raccoglieva, sono atterrata nel catalogo Sinnos. Ed era lì, Cattive ragazze, le mie cattive ragazze, quelle che mi hanno aperto gli occhi, tanti anni fa. Le loro storie brillanti e colorate di lotta, stupore, delusioni, coraggio e tenacia, quelle storie che abbiamo studiato e dalle quali ci siamo lasciati affascinare, ragazzini curiosi. Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole, Vera Gheno, Effequ ed., 2019 Quando ho proposto a Effequ di collaborare, il loro ufficio stampa mi ha risposto subito con entusiasmo: gioia infinita, una splendida scoperta. Sono una casa editrice indipendente fiorentina (ma «alzano il volo e arrivano ovunque»), pubblicano «libri che non c’erano», hanno una bellissima collana di «Saggi POP» («Saggi trasversali, ibridi, poco convenzionali ma autorevoli, con l’idea prepotente di reinventare le coordinate prima note. Perché ogni testo, si sa, è un mondo, e per noi ogni testo non deve cambiare il mondo, ma almeno provarci.») che mi intrigava molto: l’occhio è caduto subito su Femminili Singolari di Vera Gheno, per due ragioni. La prima: avevo scoperto quella mattina stessa l'autrice tramite un post su Facebook in cui si esprimeva sulla questione Uffizi-Ferragni, ed ero rimasta incantata dal suo modo di scrivere leggero ma impeccabile, serio ma ironico e dritto al punto.
La seconda: io odiavo i femminili professionali («architetta», «sindaca» , «assessora»). Faccio coming out così, in maniera molto onesta. Li trovavo cacofonici e superflui, simbolo di una battaglia inutile (ma non mi sento troppo sola: l’autrice dichiara che qualche anno fa, quando non aveva ancora approfondito il tema, pensava la stessa cosa). Ora, l’intento di Gheno non è plagiare né convincere, ma esporre delle tesi argomentate più che egregiamente e mettere a disposizione le proprie conoscenze, in estrema sintesi e con grande pacatezza. E forse proprio per questo cattura in maniera folgorante l’attenzione di chi ha voglia di leggerla. Storia di un figlio di Fabio Geda, Enaiatollah Akbari, Baldini+Castoldi, 2020. [Ringrazio di cuore l’ufficio stampa della casa editrice B+C per avermi mandato una copia di questo libro.]
«Se tu ti muovi, a volte, il mondo ti danza attorno» Il cammino di fratello Enaiat alla ricerca delle proprie radici è una danza densa e difficile raccontata con indescrivibile leggerezza, una storia fuori dall’ordinario che sa rimanere arroccata negli angoli del cuore più nascosti - rimane lì, anche se non te ne accorgi, perchè ti insegna a guardare il mondo, la tua quotidianità, con occhi diversi. È la storia di una famiglia, di un figlio, di una madre, di una sorella e un fratello, del filo rosso straordinario che li tiene uniti nonostante il tempo, le distanze, le difficoltà, la vita. È «una specie di album delle fotografie» dolcissimo ed infinito, per Enaiat e per noi, che ci avviciniamo in punta di piedi al groviglio di luce che porta dentro. Review party e blog tour per «Sorelle Brontë» ed. Mondadori
È in uscita uno splendido “drago” Mondadori che il 25 agosto porterà in libreria i capolavori delle penne sororali... Charlotte, Emily ed Anne Brontë. “Da Cime Tempestose, a Jane Eyre, passando per Agnes Grey, fino ai meno noti L’angelo della tempesta, La Signora di Wildfell Hall e Shirley, le tre sorelle Bronte ci hanno lasciato romanzi immortali, capolavori della narrativa ottocentesca pieni di pathos e emozione, ciascuna con la propria voce. A questi romanzi si aggiungono i sublimi versi nei quali rivive tutto il fascino della natura selvaggia delle brughiere dello Yorkshire, tra distese d’erica, roccia e foschia. Questo volume offre l’occasione per riscoprire tre voci femminili originalissime nel panorama letterario, tra incanto, disperazione, e il desiderio insopprimibile di affermare la propria identità.” “Fanno delle cose, le donne, alle volte, che c'è da rimanerci secchi. Potresti passare una vita a provarci: ma non saresti capace di avere quella leggerezza che hanno loro, alle volte. Sono leggere dentro. Dentro.” Alessandro Baricco, Oceanomare In questa storia speciale ambientata alla fine dell’Ottocento ci sono tante donne splendide, leggere, delicate. Marianna e Ada, sua madre, suor Luigia, la Contessa: ognuna di loro ha qualcosa da insegnarci, perchè «essere donna costa il doppio della fatica in questo mondo» e le loro sono storie di tenacia e caparbietà, sogno e speranza che fanno sorridere il cuore, anche se oggi le nostre battaglie sono diverse.
La stazione non era più una stazione: m’è toccato, mamma, conoscere il mondo in un attimo breve1/8/2020 Sono giorni che mi chiedo cosa scrivere in questo post. Di che parlare, perchè farlo, come evitare di cadere nel baratro della retorica scontata. Sono giorni che mi chiedo quale possa essere il senso della memoria, dopo quarant’anni e mille ferite ancora aperte che bruciano tanto da spezzare il fiato. Ho rimandato, ho pensato - c’è tempo - e oggi, sabato primo agosto, ore 13 e sei secondi, ancora non so bene cosa dire. So però che l’ho trovato, un senso, mentre sfogliavo l’archivio delle foto sul sito dell’Associazione 2 Agosto 1980. (1)
Ne ho salvate alcune, così come ho salvato stralci di articoli e discorsi trovati qua e là sul web. Ho deciso che li raccoglierò qui, come un tesoro da difendere per non dimenticare, davvero. Questo post è una lettura del fumetto «La strage di Bologna» di Alex Boschetti e Anna Ciammitti, con prefazione di Carlo Lucarelli, collana Misteri d’Italia a fumetti/8, edito BeccoGiallo, ed è anche il mio umile, sciocco modo di mantenere vivo il ricordo di quanti hanno perso la vita quel 2 agosto. Il mio ringraziamento ai tenaci familiari delle vittime, a Bologna, all’Italia giusta che chiedeva e chiede ancora oggi a gran voce verità e giustizia. |